Growth Mindset: intelligenti si diventa!

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Growth Mindset (pag.1)

di Michael Lodi

“Sei un genio!”, “Sei proprio portato per la matematica!”, ma anche “Mio figlio non ha proprio una mente matematica, non fa per lui”, “Io di informatica non ci capisco niente, mentre lui ha una dote naturale per lavorare con la tecnologia”. Queste frasi, a prima vista senza importanza, spesso ascoltate nei discorsi di genitori e insegnanti, possono invece avere un impatto radicale sulla crescita scolastica, intellettuale, personale di uno studente.

Alcuni nostri tratti personali sono “fissi” e immodificabili: il colore dei nostri occhi, la nostra altezza da adulti. Altri invece possono cambiare nel corso della nostra vita: il nostro peso, i nostri muscoli.

Cosa possiamo dire della nostra intelligenza? Ognuno di noi ha una sua “teoria dell’intelligenza”, cioè un insieme di idee sul funzionamento della nostra intelligenza e di quella delle altre persone. Carol Dweck, professoressa di psicologia a Stanford, ha individuato, dopo studi decennali (Dweck, 2012), due mindset verso cui (sebbene con ovvie sfumature intermedie) sono orientate le persone.

Da un lato troviamo coloro che sono orientati a ritenere l’intelligenza come un tratto fisso (fixed mindset): secondo queste persone, siamo nati con una certa quantità di intelligenza e possiamo fare poco per modificarla.

Dall'altro lato troviamo invece coloro che ritengono di poter accrescere in modo significativo la propria intelligenza con lo studio, l’impegno, l’esperienza, gli sforzi, la pratica deliberata, il porsi in situazioni sfidanti (hanno cioè un growth mindset, dall’inglese growth che significa appunto crescita).

Il mindset ha notevoli implicazioni nella nostra vita e nel successo scolastico.

Chi ritiene che l’intelligenza sia un tratto fisso, avrà come obiettivo quello di apparire intelligente (ed eventualmente nascondere il fatto di non esserlo), esattamente come una persona bassa avrà l’obiettivo di apparire alta.

In questo contesto, lo “sforzo” viene visto come inutile: così come è inutile cercare di diventare più alti da adulti, così lo studente con un fixed mindset riterrà uno spreco di tempo e di energie il fatto di impegnarsi. Egli piuttosto barerà, per esempio copiando o non facendo domande per nascondere il fatto di non aver capito (allo stesso modo con cui la persona bassa potrebbe usare scarpe rialzate o mentire sulla sua altezza nei documenti).

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Non riconoscendo il valore dello sforzo, sarà portato a rispondere agli ostacoli che incontrerà nella sua vita e nei suoi studi con la rinuncia, pensando di non essere “portato” per quel tipo di attività e di non poter fare nulla per cambiare quella situazione.

Egli proverà invidia verso chi ritiene essere più intelligente di lui.

Infine egli non riconoscerà il valore delle critiche costruttive: se ritiene di essere intelligente, sarà portato ad attribuire la causa dei suoi fallimenti a fattori esterni (es. l’insegnante che non comprende il suo valore) e dunque non sarà motivato a migliorarsi.

Al contrario, chi ritiene che l’intelligenza possa essere accresciuta, avrà come obiettivo proprio quello di imparare, perché sa che è il modo di diventare più intelligente (proprio come chi vuole diventare più muscoloso sa che deve allenarsi).

E dunque riterrà lo sforzo indispensabile. Non si lascerà abbattere dalle difficoltà ma si impegnerà di più. Accetterà le critiche come strumenti da cui imparare per migliorarsi, farà domande per imparare da chi è più esperto di lui. Non sarà invidioso, ma cercherà di usare le persone di successo come fonte di ispirazione, come dei modelli da seguire, da cui farsi aiutare e da cui apprendere.

Gli studi di Carol Dweck mettono in correlazione il growth mindset con il successo scolastico e personale. Dunque è importante stimolare la formazione di questo tipo di teoria nei bambini e nei ragazzi.

Un ambito in cui il problema del mindset è particolarmente sentito e studiato è la matematica: è infatti comune sentire frasi come quelle citate all’inizio dell’articolo. Inconsapevolmente, genitori e insegnanti mandano messaggi che stimolano lo sviluppo di una teoria fissa dell’intelligenza. Questo causa, tra le altre, la cosiddetta “impotenza appresa”: un bambino che fatica nelle prime verifiche di matematica rischia di essere etichettato come “poco portato” e cresce (negli anni più importanti per lo sviluppo del suo cervello) con questa idea, fino a far sì che essa diventi realtà.

Le difficoltà degli studenti in matematica rappresentano un problema diffuso a livello mondiale, come testimoniano ad esempio le rilevazioni OCSE-PISA, e questo ha portato ad esempio all’attenzione di Amazon, che ha raccolto in un sito (With Math I Can) molte risorse per insegnanti, genitori, dirigenti atte a stimolare il growth mindset.

Lo sviluppo del growth mindset è ancora allo studio, e dunque non è sensato dare ricette miracolose. Rimandiamo ai testi indicati in bibliografia per approfondimenti.

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Di seguito vengono raccolti comunque alcuni consigli per genitori e insegnanti, che possono favorirlo.

  • Insegnare esplicitamente che il cervello è in grado di crescere (ci sono evidente neuroscientifiche), creare nuove connessioni, imparare tramite l’impegno e gli errori;
  • Dire “bravo” non sempre è la scelta giusta (Moè et al., 2007): è meglio lodare il processo (“ti sei impegnata molto”) e l’impegno (“devi aver lavorato duramente per ottenere questo risultato!”) più che la persona (“sei bravissimo!”) e l’intelligenza (“sei un genio!”, “hai un dono di natura!”)
  • In generale, è bene modificare il proprio linguaggio per mandare messaggi di “growth mindset” piuttosto che di fixed mindset. Queste frasi possono risultare artificiose, e infatti non vanno recitate: il primo passo per stimolare il growth mindset negli altri è quello di acquisirlo. Alcuni esempi:
    • Non sono capace → C’è qualcosa che devo ancora imparare per riuscirci
    • È troppo difficile → Richiederà molto impegno
    • Dev’essere molto intelligente → Voglio imparare a fare come lei
    • Sono portato per questo → Come posso continuare a migliorare?
  • Non celebrare il fatto di riuscire a fare qualcosa velocemente e senza sforzi. Per chi ha un fixed mindset, è segno di intelligenza, ma in verità è meglio sottolineare che in quel caso il compito era “troppo facile” e dunque non ha permesso di imparare.
  • Celebrare gli errori (sia i loro che i nostri) senza demonizzarli, ma anzi, vedendoli come opportunità per imparare.
  • Fornire problemi autentici e aperti, non noiosi, risolvibili con più strategie, di cui discutere insieme.

Dunque insieme a strategie generali, l’ultimo punto mette in evidenza la necessità di un cambiamento di metodologia didattica.

Una delle critiche mosse al growth mindset (per esempio da Alfie Kohn): non basta motivare i ragazzi ad impegnarsi e sforzarsi di apprendere, se ciò che stanno apprendendo è nozionistico e poco significativo per loro. Bisogna infatti anche porre attenzione a cosa gli studenti stanno imparando, e far sì che l’apprendimento sia il più possibile mosso da una motivazione intrinseca (che poi si riflette proprio nell’obiettivo degli studenti con growth mindset: imparare).

Come detto, il primo passo per stimolare il growth mindset negli studenti è quello di acquisire noi stessi tale tipo di mentalità. Un buon punto di partenza è la traduzione italiana del testo di Dweck (2016) e un test online (in inglese) sul sito della stessa autrice.

 

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Growth mindset e pensiero computazionale

Negli ultimi anni in tutto il mondo, e anche in Italia, ci sono spinte per l’introduzione a scuola dell’insegnamento del pensiero computazionale, in particolare tramite la programmazione, e in generale elementi di Informatica.

L’Informatica può soffrire dei problemi di cui si è accennato per la matematica: spesso viene vista come un’attività destinata a pochi “geni” che parlano la lingua sconosciuta e misteriosa dei computer; come un’attività tipicamente maschile; come un’attività per cui si è o non si è portati.

Ma, secondo chi scrive, il pensiero computazionale ha un vantaggio: l’approccio alla soluzione dei problemi che propone (si veda l’approfondimento sempre su questo sito) può invece favorire il growth mindset: perché stimola un approccio per prove ed errori, che non mistifica l’errore ma lo rende un normale passo per arrivare alla soluzione corretta del problema; perché i problemi che si vogliono risolvere sono proprio aperti, non ripetitivi, che ammettono più soluzioni; e così via.

Per spiegare meglio quest’idea ci affidiamo a un illustre psicologo, pedagogista e informatico: Seymour Papert, che, già nel 1980 nel suo libro Mindstorms scriveva:

… molti bambini sono frenati nel loro apprendimento perché hanno un modello di apprendimento nel quale o si capisce subito una cosa oppure non la si capisce. Ma quando si impara a programmare un computer, quasi mai si ottiene il risultato corretto al primo colpo. Diventare un programmatore esperto vuol dire imparare a diventare molto esperto nell’isolare e correggere “bug”, le parti che non fanno funzionare un programma. La domanda da farsi rispetto ad un programma non è se sia giusto o sbagliato, ma se è sistemabile. Se questo modo di guardare ai prodotti intellettuali fosse generalizzato a ciò che la cultura di massa pensa sulla conoscenza e la sua acquisizione, saremmo tutti meno intimiditi dalla paura di sbagliare.

Questa potenziale influenza del computer di cambiare la nostra idea di successo/fallimento come di qualcosa di bianco o nero, è un esempio di uso del computer come un “oggetto per pensare”.

Ovviamente non è necessario lavorare con i computer per acquisire buone strategie di apprendimento. Sicuramente le strategie di debug sono state sviluppate da studiosi di successo molto prima dell’esistenza dei computer. Ma pensare all’apprendimento in analogia allo sviluppo di un programma è una strada potente e accessibile per diventare più consapevoli delle proprie strategie di debug e più deliberati nell’accrescerle (Papert, 1980; traduzione mia).

Si tratta di un tema aperto, e chi scrive ne ha fatto un tema di ricerca accademica.

bibliografia

 

  • Boaler, J. 2015. Mathematical mindsets: Unleashing students' potential through creative math, inspiring messages and innovative teaching. John Wiley & Sons.
  • Cutts, Q., Cutts, E., Draper, S., O'Donnell, P., & Saffrey, P. 2010. Manipulating mindset to positively influence introductory programming performance. In Proceedings of the 41st ACM technical symposium on Computer science education (pp. 431-435). ACM.
  • Dweck, C. S. 2008. Mindsets and Math/Science Achievement. The Opportunity Equation.
  • Dweck, C. S.  2017. Mindset (Updated Edition). Robinson.
  • Flanigan, A. E., Peteranetz, M. S., Shell, D. F., & Soh, L. K. 2015. Exploring changes in computer science students' implicit theories of intelligence across the semester. In Proceedings of the eleventh annual International Conference on International Computing Education Research (pp. 161-168). ACM.
  • Good, C., Rattan, A., & Dweck, C. S. 2012. Why do women opt out? Sense of belonging and women's representation in mathematics. Journal of personality and social psychology, 102(4), 700.
  • Lewis, C. M., Anderson, R. E., & Yasuhara, K. 2016. I Don't Code All Day: Fitting in Computer Science When the Stereotypes Don't Fit. In Proceedings of the 2016 ACM Conference on International Computing Education Research (pp. 23-32). ACM.
  • Lewis, C. M. (2017). Good (and bad) reasons to teach all students computer science.  In S. B. Fee, A. M. Holland-Minkley, & T. E. Lombardi, New Directions for Computing Education: Embedding Computing Across Disciplines. New York: Springer.
  • Papert, S. 1980. Mindstorms: Children, computers, and powerful ideas. Basic Books, Inc..
  • Angeretti, E., Moè, A., Pazzaglia, F., De Beni, R. (2007). Quando dire “bravo” non basta. Effetti della lode e dell’attribuzione all’impegno e all’abilità. Psicologia e Scuola, 134, 3-11.
  • Dweck, C. (2012). Mindset: How you can fulfil your potential. Hachette UK.
  • Tr. It. Dweck, C. (2016). Mindset: cambiare forma mentis per raggiungere il successo. FrancoAngeli.
  • Tr.It Dweck, C. (2017).Teorie del sè. Intelligenza, motivazione,personalità e sviluppo. Erickson
  • Marchignoli, R., Lodi, M. (2016). EAS e pensiero computazionale. La Scuola, Brescia, 2016. Capitolo 1, sezione 3.1.
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